IL RUOLO DEI GENITORI-Bambini su Facebook (Clicca per leggere)

Vietarlo o regolarne l'uso? È questo l'interrogativo più di attualità nelle famiglie moderne. Il "battesimo del computer" è sempre più precoce e le richieste dei piccoli utenti di comparire nei Social Network incalzano. Come comportarsi? Risponde lo psicologo Maurizio Brasini, esperto dell'età evolutiva e uno dei professionisti dello sportello di D.it di Martina Marchiorello

Se qualche anno fa era il cellulare, oggi è un profilo virtuale la pietra della discordia tra genitori e adolescenti. Sempre più precoci e affamati di tecnologia, i giovani del Ventunesimo secolo rivendicano il proprio diritto a comparire nei social network, accettare amicizie, condividere contenuti e affidare le proprie emozioni alla rete. Fin dalla più tenera età. Da parte sua Facebook fornisce delle linee guida di carattere anagrafico che regolano l'iscrizione ai 13 anni compiuti, ma che possono essere facilmente trasgredite indicando una data di nascita falsa.
Ed è questo il nodo della questione: bastano 13 anni ad un ragazzino per essere abbastanza maturo da poter gestire in autonomia la sua pagina virtuale? Abbiamo parlato di "Infanzia e Social Network" con lo psicologo Maurizio Brasini, uno degli esperti di D.it che risponde alle domande dei nostri lettori (clicca qui per contattarlo).


Partiamo con un problema frequente: cosa si deve rispondere al bambino che accusa il genitore di avere un profilo, ma di non permettere a lui di fare altrettanto? 
L'autorità del genitore non deve mai essere messa in discussione, il figlio deve sapere che le decisioni degli adulti in merito alla sua educazione sono inappellabili e non c'è spazio per trattative. Se l'utilizzo del Social Network è regolato da un'età minima è una ragione sufficiente per impedirne l'accesso ai minori.

Quali sono i pericoli a cui è esposto un ragazzino? 
Oltre a quelli evidenti di essere contattato da malintenzionati, c'è anche il rischio che si isoli davanti al computer e che tenda a sviluppare la sua intera esistenza attraverso la rete. Il problema è reale perché le ultime ricerche hanno evidenziato che Facebook ha un'azione gratificante sulla psiche umana: attivando il circuito della ricompensa (insieme di imput cerebrali che si accendono in coincidenza con sensazioni di piacere) assimila l'amicizia virtuale a quella in carne e ossa. Tradotto: un "like" lasciato sotto ad una foto o ad uno status è gradito come -e forse più- un apprezzamento a voce e una chat a suon di emoticons e slang internettiano vale quanto una confidenza tra amici. 
   
Come insegnare a distinguere la vita virtuale da quella reale? 
Le amicizie su Facebook sono più facili e immediate: condividere solo quello che sappiamo incontrerà l'approvazione della nostra audience, è una scorciatoia per mettersi in mostra e avere l'attenzione degli amici. Nella vita quotidiana il coinvolgimento si conquista con esperienze comuni e la complicità è un traguardo che si raggiunge in anni di intesa fidata. L'unico strumento che i genitori hanno per trasmettere la vera anima dell'amicizia è proporre modelli di amicizia reali: dal punto di vista pedagogico un esempio positivo è la lezione più costruttiva.

Diventare "amici" è un buon escamotage per controllare il proprio figlio?
Assolutamente no, la supervisione deve essere esplicita per essere educativa. Monitorare le sue mosse in rete sarebbe come spiare nel suo diario segreto: un'azione invadente e irrispettosa. Provare invece a regolare modi e tempi di utilizzo accordandoli con i propri, in modo da non lasciare mai il ragazzino davanti al computer da solo è una buona tecnica per farlo sentire parzialmente libero ma comunque sotto la supervisione del genitore.



Fonte:Ilmessaggero

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